A un’incontro del progetto Custodia del territorio Francesca Neonato, agronoma e paesaggista, commentava la progettazione dei parchi giochi per i bambini, ormai uguali dappertutto con moduli scivolo-altalena ripetuti all’infinito con minime variazioni. E la sua domanda è stata:
“Ma perché strappiamo i bambini dal loro habitat naturale per metterli in questi parchi giochi o (ancora di più) nelle scuole?”
Sul perché ce ne sarebbe da dire, ma ora mi interessa di più capire invece qual è allora l’habitat naturale dei bambini. Perché è vero che, continuando sulla falsa riga delle riflessioni di Francesca, i bambini a scuola sono come le piantine delle “pareti verdi” (tanto di moda per “abbellire” i grattaceli contemporanei), aggrappati al loro pezzettino di “suolo” artificiale (il banco), in attesa che qualcuno porti loro nutrimento, luce e acqua con il rischio continuo di appassire. E, soprattutto, senza la possibilità di affondare le loro radici sul nostro pianeta, entrando a far parte davvero di quella rete di relazioni complesse che è la vita.
Sono isolati, e sopravvivono, adattandosi chi meglio e chi peggio, ma difficilmente svilupperanno appieno le loro possibilità*, proprio come una pianta in vaso. Potete provare a mettere una ghianda in un vaso, ma il risultato non sarà mai come una quercia in un bosco. Per quanto una pianta in vaso sia graziosa a vedersi, e certamente ogni anno può continuare ad affermare la sua voglia e la sua capacità di vivere con nuovi germogli e fiori… non diventerà mai un grande albero.
Lo sviluppo dei bambini è corporeo, intellettivo e emotivo insieme, si esprime nel movimento, nell’esperienza, nell’attività spontanea e nella sperimentazione. Nessun contesto risponde meglio alle loro esigenze dell’ambiente naturale: uno spazio all’aperto dove siano presenti e libere altre specie viventi non umane.
Per gli spazi , per la possibilità di movimento, per la ricchezza degli stimoli. Ma soprattutto per la complessità: in nessun ambiente artificiale creato dall’uomo sono presenti tante variabili contemporaneamente, che risvegliano tutti i sensi, offrono tante possibilità di scelta e d’interazione e vanno incontro alle esigenze di ognuno. Perché in un ambiente naturale il bambino timido trova un rifugio, quello estroverso un palcoscenico ed entrambi trovano il loro posto in un mondo che sarà sempre al loro fianco e li accetterà per come sono in ogni momento della loro vita.
L’habitat ideale per un bambino allora potrebbe essere proprio quel giardino biodiverso di cui parla il progetto Custodia del territorio, un luogo di cui l’adulto ha scelto di prendersi cura lasciando che un prato sia un prato e non un tappeto, un albero sia un albero e non una siepe. Accettando che le foglie cadono e le ortiche pungono. Accogliendo ogni ospite che arriva, anche un serpentello o una talpa.
Un luogo dove il bambino può sporcarsi, può nascondersi, può correre, può scavare un buco e costruirsi un rifugio. Un luogo dove possa anche pungersi con una spina, e sapere che in cambio potrà mangiarsi una mora appena colta.
* vedi deficit di natura di Richard Louv