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Il mio bimbo è viziato?

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Papà si è rifiutato di comprarmi un pupazzetto di Bart Simpson. Mamma voleva, ma papà no, ha detto che sono viziato.

“Perché dovremmo comprarglielo, eh?” ha strillato con mamma. “Perché? Basta che lui apra la bocca e tu scatti sull’attenti”.

Papà ha detto che io non avevo rispetto del denaro, e che se non imparavo fin da piccolo ad averne, allora quando lo avrei avuto?

I bambini ai quali si comprano facilmente pupazzetti di Bart Simpson da grandi diventano delinquenti che vanno a rubare ai chioschi. Allora, al posto del pupazzetto di Bart Simpson, papà mi ha comprato un brutto porcellino di ceramica con una fessura sulla schiena, così finalmente sarei cresciuto onesto, non sarei diventato un delinquente.

Inizia così un racconto breve  intitolato “Rompere il porcellino” di Etgar Keret. Ho letto questo piccolo racconto ormai qualche anno fa, e ci ritorno spesso.

Affronta con ironia e un tocco di assurdo una paura condivisa da molti genitori: il dubbio di stare crescendo un bambino viziato.

Ma cosa vuol dire veramente un bambino “viziato”? E come si fa a “viziare” un bambino? Sono domande molto più complesse di quello che sembra apparentemente.

Comunemente pensiamo a un bambino viziato quando non accetta di vedersi rifiutato qualcosa. Ma bisogna fare delle importanti distinzioni: che cosa stiamo rifiutando a nostro figlio, e perché?

Può darsi che gli stiamo rifiutando qualcosa che per lui è importante e di cui ha bisogno. Magari semplicemente perché è impossibile o pericoloso concederla. Talvolta gli rifiutiamo qualcosa perché per noi è un fastidio o una perdita di tempo, aldilà delle motivazioni del suo desiderio.

vizio

La richiesta di un bambino all’inizio nasce sempre da un suo bisogno, e la nostra risposta deve basarsi sempre sulla comprensione e l’accettazione di quel bisogno, nel rispetto ovviamente dei limiti dell’ambiente e del bambino stesso. Ma se nel tempo le nostre risposte deviano continuamente le richieste del bambino, cercando di modificare il suo comportamento con premi o punizioni, non spiegandogli ostacoli e alternative possibili, lui stesso non distingue più i suoi bisogni naturali.

Maria Montessori diceva:

“No, l’adulto non ha viziato il suo bambino quando gli ha ceduto; ma quando gli ha impedito di vivere e lo ha spinto verso deviazioni del suo naturale sviluppo.”

(da “Il segeto dell’infanzia”, 1999, Garzanti, p. 231)

Voi cosa fareste nei panni della mamma e del papà del bambino che vuole il pupazzetto di Bart Simpson?

Ne parliamo Sabato 29 marzo dalle 10.00 alle 12.00 a Cascina Costa Alta nel Parco di Monza, in un incontro all’interno del percorso Madr&natura.

Dinamiche di un “capriccio”

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Qualche settimana fa ho assistito a un “capriccio” esemplare, non perché particolarmente spettacolare ma perché dal mio punto di vista esemplificava perfettamente cosa succede in realtà quando un bambino fa un “capriccio”.

La scena:

in uno spazio ludico termina il laboratorio di manipolazione con bambini e genitori. Man mano tutti si alzano con il barattolino riempito dai bimbi con il loro mix di sale e erbe da portare a casa come ricordo dell’esperienza fatta, rimane solo una coppia bimba – mamma. La mamma si affretta a chiudere il barattolino e prende la bimba (circa 15 mesi) per mano, dicendole “Andiamo a far merenda con gli altri bimbi!”.

La bimba allunga la mano verso il barattolo e protesta. La mamma insiste. Le dice “No basta, il laboratorio è finito, andiamo!”.

La bimba punta i piedi e alza il volume, continuando ad allungare le mani verso il barattolo. La mamma mi lancia uno sguardo imbarazzato e mi dice “Tanto poi le passa” e se ne va.

La bimba, senza fare una piega, si siede, prende un barattolo vuoto, lo riempie, indica il coperchio all’altra educatrice presente e osserva attentamente mentre l’educatrice le avvita il coperchio.

A questo punto la bimba si alza con il nuovo barattolino, chiama “Mamma!” e corre a fare merenda serena, come se niente fosse successo.

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Alcuni elementi emergono chiarissimamente da questa scena:

1. I bimbi sanno cosa vogliono, c’è un motivo preciso per cui fanno quello che fanno, non riescono a esprimerlo bene e  magari noi non lo capiamo ma  la maggior parte delle volte che fanno un “capriccio” ci stanno facendo una richiesta specifica.

2. Certe volte basta poco, pochissimo: la mamma aveva chiuso il barattolo in fretta e la bimba voleva vedere come si faceva, era il suo laboratorio e il suo vasetto, era un’aspettativa legittima e tra l’altro non c’era nessuna fretta particolare.

3. Non è facile capire i bimbi certe volte, spesso sono incuriositi da cose che per noi sono assolutamente scontate: dobbiamo avere la pazienza di metterci nei loro panni.

4. Mi ha colpito molto che la mamma si sia sentita in dovere di giustificare la bimba con me (figurati!), perché in effetti probabilmente la paura del mio giudizio l’ha fatta agire in modo più frettoloso di come avrebbe fatto da sola con la sua bimba: in un momento di incomprensione con i nostri bimbi dobbiamo concentrarci sulla comunicazione con loro, considerazioni su quello che potrebbero pensare gli altri lasciamole da parte!

Mi sento in dovere di precisare comunque che la mamma si è comportata in modo piuttosto normale, sicuramente a tutti capita di non capirsi con i propri bimbi nel cercare di far valere le ragioni degli adulti (non c’è tempo, dobbiamo andare etc.) sulle loro.

Un fatto però mi ha lasciato perplessa: da una parte il fatto che la mamma se ne sia andata non mi è proprio piaciuto, mi è sembrato una rinuncia a capire, un volersi dissociare dalla figlia e dal suo comportamento…eppure, eppure è stata proprio la rinuncia della mamma a capire a lasciare libera la bimba di fare quello che voleva, tanto che alla fine era contenta e soddisfatta. Forse certe volte dobbiamo trovare un equilibrio tra stare accanto ai nostri figli e lasciarli fare anche se non capiamo perché. Alla fine si torna sempre lì…